990.
Sono i kilometri che separano Torino da Potenza. Si perché io sono nato ai piedi delle Alpi ma il mio cuore batte per il ruggito di un leone che ha la sua tana tra le vette dell’Appennino.
Non so bene come spiegare l’amore per questi colori ma forse sbaglio in partenza perché i grandi amori non si spiegano, vanno vissuti e basta. E quanto ti fa sentire vivo il Potenza è chiaro: lo sto provando sulla mia pelle ora, da tifoso a distanza, ma lo vivo anche ogni volta che vedo l’emozione negli occhi di mio padre, lui si, nato di fianco alla tana del leone, quando mi parla delle domeniche passate in curva a raschiare la gola per tirare fuori la passione, quella che ti brucia dentro, quel fuoco che ti consuma ma del quale non riesci a privarti.
Vivo poco Potenza ma ho maturato la certezza che questa città freme per questa squadra e lo si percepisce nell’aria, nei vicoli, negli infiniti gradini che si arrampicano su e giù per la città e infine nei volti dei potentini, dove ritrovo quell’ emozione che vedo da sempre nell’espressione di mio padre.
È difficile essere un tifoso a distanza ma è ancora più difficile spiegare agli amici che “u Putenz è semb nu squadron” o spiegare alla propria ragazza che “sabato pomeriggio non ci sono perché gioca il Potenza”, e forse è meglio così perché altrimenti sarei al Viviani…
A proposito: che strazio e che bruttura vedere quella tribuna ancora così malconcia, una macchia che stride con il bellissimo quadro del tempio rossoblu che in quanto luogo sacro del tifo non merita di essere deturpato in tal modo. Non lo meritano questi tifosi e il loro encomiabile, viscerale attaccamento a questa maglia.
Io nel mio piccolo sono fiero di amare questi colori e onorato di far parte di questa grande famiglia: noi tifosi “sabaudi” del Leone (pochi ma decisamente buoni) ci crediamo e seguiamo con grande trasporto le vicende della squadra, il sogno è lì nel cassetto e non occorre dire altro.
Vorrei poter dare di più ma per ovvi motivi io e papà siamo costretti a vivere questa grande storia d’amore a distanza, due cretini che passano il sabato pomeriggio incollati a uno schermo piatto ad aspettare solo quel momento magico, l’esplosione della gioia, la rottura della tensione, la liberazione dal tormento.
Tormentati sì, inquieti, folli, esagerati forse ma essere tifosi è anche questo: vivere ogni secondo dei 90 minuti più recupero come se fosse l’ultimo, lasciarsi consumare dalla fiamma e salire in Paradiso se va bene, scendere all’Inferno se va male.
990 sono i kilometri che separano il cuore dal leone ma io sento il ruggito fin qui, quest’anno più forte che mai e non voglio smettere di sognare. Non so se fin lì si senta il battito del nostro cuore ma sappiate che noi non smetteremo mai di seguire, di amare, di rappresentare. Il Leone è ambasciatore di Potenza in tutta Italia e noi ci saremo se mai ci sarà il bisogno di sostegno anche più a nord di Latina o di Pescara. Ci basta una sciarpa e una gola da raschiare, e noi saremo felici.
Da Torino a Potenza, un fuoco che brucia per 990 kilometri senza spegnersi mai.